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Europa e Coronavirus; Europa und der Coronavirus

Markus Krienke/Gianluigi Pasquale

 

Prof. Dr. Markus Krienke è Professore ordinario di Filosofia moderna ed Etica sociale presso la Facoltà di Teologia di Lugano e Direttore della Cattedra Rosmini; è professore incaricato per Antropologia filosofica alla Pontificia Università Lateranense e insegna Dottrina sociale della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.

Prof. DDr. Gianluigi Pasquale è Professore di Teologia fondamentale nella Pontificia Università Lateranense, Stato della Città del Vaticano, e nello Studio Teologico affiliato “Laurentianum” di Venezia, nella Sede di Milano (Italia). Nel 2018 ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a Professore Associato per la Filosofia Morale.

 

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L’impatto del Covid-19 sul contesto attuale merita di essere valutato con molta prudenza, mediante alcuni layout interpretativi dell’intero fenomeno. Per almeno due ragioni. Innanzitutto perché tale l’impatto è mutevole, come osserviamo dalle stesse varie “fasi” che si succedono l’una all’altra. In secondo luogo, sappiamo che si tratta di una pandemia che ha coinvolto l’intero pianeta. Non abbiamo, dunque, a che fare con un “euro-virus”, benché il Continente europeo si senta chiamato a dare una risposta comune alla pari di quello americano ed asiatico.

Manca quasi del tutto una lettura teologica della situazione: mentre ci si è incentrati solo sulla domanda “messe sì o no”, ci si è dimenticati completamente di sviluppare categorie di interpretazione teologica, e ciò è un altro segnale di quanto abbiamo ridotto la nostra categoria dell’Europa a una politico-economica, dimenticando la dimensione culturale e cristiana. In una prospettiva di “storia della salvezza”, ci sembra di poter individuare proprio in questa seconda fase della crisi (a partire dall’aprile-maggio) la “speranza”. Ogni categoria teologica di “storia della salvezza” si riferisce alla storia concreta: qui possiamo osservare innanzitutto come in una prima fase (marzo-aprile), il Covid-19 sembra aver allargato l’incomponibile solco (esistente) tra un habitus nordeuropeo di matrice culturale “germanica” e quello mediterraneo di matrice culturale “latina”, a prescindere dalle soluzioni politiche ed economiche che si stanno prendendo. Infatti con la proposta del Recovery fund lanciata da Merkel e Macron il 19 maggio, l’Unione europea non solo rende concrete le parole prima della Presidente della Commissione von der Leyen e ultimamente anche della Presidente della BCE Lagarde, ma oltrepassa d’un sol tratto gli infiniti e confusi dibattiti intorno agli Eurobond o Coronabond, che si basavano ancora sull’idea dei “prestiti” a “condizioni” (che però nel percorso del dibattito furono sempre più diminuite). E come nel Piano Schuman del 9 maggio 1950 l’Europa è riuscita a superare la vecchia politica dei “Trattati” verso un livello comune e “di comunità” tra gli Stati membri, ora il programma che von der Leyen ha presentato con il nome Next Generation Eu sulla base della proposta franco-tedesca contiene un salto di qualità simile verso la gestione comune di un fondo di risorse “a fondo perduto”, almeno per la stragrande parte (i 500 miliardi della proposta Merkel-Macron, ora integrati con altri 250miliardi di prestiti a basso tasso d’interesse). Sembra avverarsi, quindi, il metodo dei tre politici di profonda fede cristiana Schuman, De Gasperi e Adenauer per cui «l’Europa non potrà farsi in una sola volta» (Dichiarazione Schuman). Se Merkel, Macron e von der Leyen propongono un nuovo Piano Schuman, allora i principi che animarono i tre “Padri fondatori” dell’Europa e che si trovano in corrispondenza con la Dottrina sociale della Chiesa, dimostrano la loro forza storica a vantaggio di tutti i Paesi membri. L’Italia, addirittura, sarebbe il beneficiario principale con una fetta di 172, 7 miliardi di Euro (di cui 81 miliardi di aiuti e 90 miliardi di prestiti). Certamente, Next Generation Eu deve ancora passare il vaglio dei capi di Stato tra il 17 e il 18 giugno, dove si prevede un dibattito acceso con i principali Paesi contrari come Austria o Paesi Bassi. Ma con tutto il diritto che gli compete il Presidente del Parlamento a Strasburgo Sassoli ha parlato del «D-Day europeo del 21° secolo», e il tanto preteso Marshall Plan a fine marzo, ma ritenuto lontano ed impossibile, può davvero diventare realtà. L’accresciuta importanza e forza dell’Ue si vede anche dal fatto che con questo piano – insieme ad altri 1.100 miliardi già deciso per un quadro finanziario pluriennale, e le altre cifre dei programmi europei per reagire alla crisi già in atto – il suo budget si raddoppia dall’1 al 2% del PIL europeo. Un momento così storico, dove l’Europa dimostra la sua unione e forza, non può che suscitare una riflessione teologica della speranza: che allo stesso momento dia anche fondamento culturale e motivazionale a chi combatte per l’Europa di solito “solo” con i numeri.

Questa base concreta per la speranza si traduce poi, in una seconda impressione, meno immediata è più ragionata. Sporge dal seguente interrogativo: come si era comportato l’uomo dinnanzi alle precedenti epidemie e pandemie? Senza dubbio, rivolgendosi pubblicamente e religiosamente a Dio, non solo al Dio di Gesù Cristo, come abbiamo visto, per esempio, per la situazione nella Repubblica Cinese. Con il Covid-19, invece, si è invocato lo «spread» e la relativa sua influenza sul «PIL»: pare essere stato proprio questa la situazione senza precedenti, come si usa dire oggi. Ora, aver caricato l’onere della soluzione solo su un dispositivo economico può risultare altrettanto fideistico che il (non) averlo appoggiato su Dio, perché l’economia non è maggiormente accertabile della religione, forse viceversa. Verosimilmente questo sembra essere il vero significato inteso dall’esortazione «io vi esorto alla storia» che il giovane filosofo tedesco Georg von Hardenberg vergò nel suo Cristianità o Europa, appunto nel 1799. Il PIL europeo, infatti, sembra dividere ciò che la cristianità unì: ora con la nuova prospettiva che si delinea come una speranza, questa divisione potrebbe essere (parzialmente) superata. Non a caso l’atteggiamento delle chiese in Europa – e in altri Continenti cristiani – è stato emblematico: la Chiesa si è rivolta a Dio, al di là delle distinzioni confessionali, pur avendo obbedito rigorosamente ai protocolli sanitari predisposti dai diversi ministeri della salute. Per una volta la Chiesa ha obbedito alla “civis”, come si trattasse in una sola “civitas”, superando la divisione quindi anche da parte sua. Su questa equazione e sulle prospettive di nuove sintesi e dialoghi bisognerà riflettere ancora e a lungo, nel prossimo futuro, proprio per ciò che ha inteso dire il “padre” della storiografia universale, il tedesco Leopoldus von Ranke, secondo il quale «ogni epoca è equidistante dinnanzi a Dio». Una nuova Europa di Next Generation Eu, infatti, è chiamata – dopo il rifiuto della nominatio Dei nella proposta di costituzione europea rifiutata nel 2005 dalla Francia e dai Paesi Bassi – a ripensare il rapporto tra politica e società civile, da un lato, e dimensione religiosa e tradizione culturale cristiana, dall’altro, anche in rapporto del nuovo pluralismo religioso che ormai caratterizza il nostro continente.

Infine, all’orizzonte si scorge un terzo importante layout: la diversificata percezione acquisita di Dio e delle chiese che lo confessano tale durante il Covid-19. Essa non è affatto allogena né alla questione politica, né a quella economica. Non si intende qui fare riferimento né all’evenemenzialità per cui molti hanno partecipato alla vita sociale ed ecclesiale in streaming – ossia “in remoto” – né al (presunto) aumento di religiosità che nell’uomo e nella donna chicchessia si sarebbe registrato durante e nel dileguarsi della pandemia, come dichiarato da molte analisi demoscopiche. Questo terzo layoutvorrebbe, piuttosto, rispondere a quest’altra domanda: da chi l’uomo oggi si attende la salvezza, la «salus, heil, health»? Dalla scienza medica che potrà escogitare un vaccino, oppure da Dio, come avveniva prima? Come si nota la questione è, ancora una volta, di indole politica ed economica, avendo una ricaduta in entrambe queste ultime due. Infatti, anche se ora l’Unione Europea attuasse il piano Next Generation Eu rimarrebbe ancora da verificare se il “brevetto di salvezza” sia percepito come tale, oppure sia legato al controllo del rispetto delle «regole» perché, in quest’ultimo caso, il “ricovero” dagli effetti della pandemia apparirebbe un tranello che solca ulteriormente il divario tra Nord e Sud dell’Europa. Fino a prova contraria, nessun Stato dell’Unione ha scelto di soccombere, quasi, agli effetti tragici del contagio, come avvenuto in alcune zone del vecchio Continente. E di doversi rialzare. Seppur con tanta fatica, deve, dunque, corrispondere un nuovo modo di vivere la cittadinanza – che nella sua dimensione europea è ancora da costituire – che abbraccia le varie dimensioni della vita. Del resto, soltanto una tale integrazione dell’economia e della pianificazione politica in un contesto di universale solidarietà come lo coltivano le religioni, potrà dare un nuovo impulso allo sviluppo della nostra economia verso più solidarietà con gli altri e con l’ambiente. L’Europa, in questo senso, deve aver imparato dalla crisi del 2007/08, alla quale ha risposto con austerità e con la fretta di tornare con ingenti somme al più presto possibile al “vecchio stile” di vita, di economia e di sviluppo. La speranza teologica ci può aprire, invece, in questo momento, la prospettiva di realizzare un nuovo concetto di civiltà, più inclusivo e sostenibile. In questa prospettiva, l’enciclica Laudato si’ del 2015 si rivela davvero come documento profetico e realizza proprio oggi la sua attualità: e nell’aver confermato il New Green Deal che molti volevano già sacrificare alla ripresa dell’economia, la Presidente della Commissione ha aperto nuovi spiragli di dialogo positivo tra economia, società e Chiesa.

Vogliamo, infine, lasciare aperta la seguente questione: la diversificata distribuzione tra secolarizzazione rispetto al Sud e al Nord dell’Europa cristiana è, forse, inversamente proporzionale alla percezione che l’uomo e la donna europei hanno del soggetto conferente il brevetto di salvezza? Ossia: o la tecnica (anche economica) o Dio? Non aveva, dunque, ragione il germano Novalis a porsi l’interrogativo disgiuntivo: Cristianità o Europa, non intendendo affatto egli nel XVIII secolo parlare di «radici cristiane» dell’Europa? Di fronte a questa provocazione, siamo però chiamati a trovare nuove sintesi di speranza: un’Europa competitiva nel mondo ma allo stesso momento ben salda sui suoi valori e radici.

Prof. Dr. Markus Krienke ist ordentlicher Professor für moderne Philosophie und Sozialethik an der Theologischen Fakultät in Lugano und Direktor des Rosmini-Lehrstuhls; er ist Dozent für Philosophische Anthropologie an der Päpstlichen Lateran-Universität und lehrt Soziallehre der Kirche an der Theologischen Fakultät Norditaliens in Mailand.

Prof DDr. Gianluigi Pasquale ist Professor für Fundamentaltheologie an der Päpstlichen Lateran-Universität, Vatikanstaat, und am Sitz Mailand der theologischen Hochschule Laurentianum Venedig (Italien). Im Jahr 2018 habilitierte er sich außerdem zum außerordentlichen Professor für Moralphilosophie.

 

Die Auswirkungen von Covid-19 auf den aktuellen Kontext müssen mit großer Vorsicht bewertet werden, und zwar anhand einiger interpretativer Layouts des gesamten Phänomens. Aus mindestens zwei Gründen. Erstens, weil die Auswirkungen so veränderlich sind, wie wir an den verschiedenen „Phasen“ beobachten, die aufeinander folgen. Zweitens weil wir wissen, dass es sich um eine Pandemie handelt, die den gesamten Planeten betroffen hat. Wir haben es also nicht mit einem „Euro-Virus“ zu tun, obwohl der europäische Kontinent dazu aufgerufen ist, eine gemeinsame Antwort auf Augenhöhe mit dem amerikanischen und asiatischen Kontinent zu geben.

Es gibt bisher kaum theologische Deutungen der Situation: Während wir uns nur auf die Frage „Gottesdienste Ja oder Nein“ konzentriert haben, haben wir völlig vergessen, Kategorien der theologischen Interpretation zu entwickeln, und dies ist ein weiteres Zeichen dafür, wie sehr wir unsere Idee von  Europa auf eine politisch-wirtschaftliche reduziert und die kulturelle und christliche Dimension vergessen haben. Aus der Perspektive der „Heilsgeschichte“ scheinen wir gerade in dieser zweiten Phase der Krise (von April bis Mai) „Hoffnung“ identifizieren zu können. Jede theologische Kategorie der „Heilsgeschichte“ bezieht sich auf die konkrete Geschichte: Hier lässt sich zunächst beobachten, wie Covid-19 in einer ersten Phase (März-April) die (bestehende) Kluft zwischen einem nordeuropäischen Habitus der „germanischen“ Kulturmatrix und dem mediterranen Habitus der „lateinischen“ Kulturmatrix zu vertiefen scheint, unabhängig von den politischen und wirtschaftlichen Lösungsansätzen, die verfolgt werden. Mit dem von Merkel und Macron am 19. Mai lancierten Vorschlag für den Recovery-Fonds konkretisiert die Europäische Union nicht nicht nur die vorausgehenden Worte zunächst von Kommissionspräsidentin von der Leyen und dann auch vor dem EZB-Präsidentin Lagarde, sondern geht in einem Zug  über die endlosen und konfusen Debatten um die Eurobonds oder Coronabonds hinaus, die noch auf der Idee von „Darlehen“ zu „Bedingungen“ beruhten (die jedoch im Laufe der Debatte immer mehr reduziert wurden). Und genau wie im Schuman-Plan vom 9. Mai 1950 ist es Europa gelungen, die alte Politik der „Verträge“ in Richtung auf eine gemeinsame und „gemeinschaftliche“ Ebene der Mitgliedstaaten zu überwinden. So enthält nun das Programm, das von der Leyen unter dem Namen Next Generation EU auf der Grundlage des deutsch-französischen Vorschlags unterbreitete, einen ähnlichen qualitativen Sprung hin zur gemeinsamen Verwaltung eines „nicht rückzahlbaren“ Ressourcenfonds, zumindest für den überwiegenden Teil (die 500 Milliarden des Merkel-Macron-Vorschlags, nun ergänzt durch weitere 250 Milliarden zinsgünstiger Darlehen). Es scheint sich also die Methode der drei Politiker tiefen christlichen Glaubens Schuman, De Gasperi und Adenauer zu bewahrheiten, für die „Europa nicht auf einen Schlag“ hergestellt werden kann (Schuman-Erklärung). Wenn Merkel, Macron und von der Leyen einen neuen Schuman-Plan vorschlagen, dann zeigen die Prinzipien, die die drei „Gründungsväter“ Europas beseelt haben und die mit der Soziallehre der Kirche übereinstimmen, ihre historische Stärke zum Nutzen aller Mitgliedsländer. Italien wäre sogar der Hauptbegünstigte mit einem Anteil von 172,7 Milliarden Euro (davon 81 Milliarden an Beihilfen und 90 Milliarden an Darlehen). Sicherlich muss Next Generation EU noch die Prüfung der Staatschefs zwischen dem 17. und 18. Juni bestehen, wo eine hitzige Debatte mit den Hauptgegnerländern wie Österreich oder den Niederlanden erwartet wird. Doch bei allem Respekt sprach der Präsident des Europäischen Parlaments in Straßburg, Sassoli, über den „Europäischen D-Tag des 21. Jahrhunderts“, und der viel seit  Ende März so vehement geforderte Marshall-Plan, der als fern und unmöglich galt, kann wirklich Wirklichkeit werden. Die gestiegene Bedeutung und Stärke der EU wird auch daran deutlich, dass sich mit diesem Plan – zusammen mit weiteren 1.100 Milliarden, die bereits für einen mehrjährigen Finanzrahmen beschlossen wurden, und den anderen Summen der europäischen Programme als bereits eingeleitete Reaktion auf die Krise – ihr Haushalt von 1 auf 2% des europäischen BIP verdoppelt. Ein solch historischer Moment, in dem Europa seine Einheit und Stärke zeigt, kann nur eine theologische Reflexion der Hoffnung hervorrufen: auf dass er nun gleichzeitig auch eine kulturelle und motivierende Grundlage für diejenigen gibt, die für Europa normalerweise „nur“ mit Zahlen kämpfen.

Diese konkrete Grundlage für Hoffnung wird dann in einen zweiten Eindruck übersetzt, der weniger unmittelbar, dafür aber fundierter ist. Er geht aus der folgenden Frage hervor: Wie hatte sich der Mensch angesichts früherer Epidemien und Pandemien verhalten? Zweifellos, indem er sich öffentlich und religiös an Gott gewandt hat, nicht nur an den Gott Jesu Christi, wie wir es z.B. in der Situation in China gesehen haben. Mit Covid-19 wurde stattdessen der „Spread“ (Anm. des Übers.: Das in Italien sehr beachtete Verhältnis der Renditen von deutschen und italieinischen Staatsanleihen) und sein Einfluss auf das „BIP“ beschworen: Darin scheint die „bisher noch nie dagewesene Situation“ zu bestehen, von der gerne die Rede ist. Nun zur Lösung nur auf ein wirtschaftliches Mittel zu setzen, kann so fideistisch sein, wie sich (nicht) auf Gott zu stützen, denn die Wirtschaft ist nicht verifizierbarer als die Religion, vielleicht sogar umgekehrt. Dies scheint die wahre Bedeutung der Mahnung „Ich ermahne euch zur Geschichte“ zu sein, die der junge deutsche Philosoph Georg von Hardenberg 1799 in seinem „Die Christenheit oder Europa“ formulierte. Das europäische BIP scheint in der Tat zu spalten, was das Christentum vereinte: Mit der neuen Perspektive, die sich als Hoffnung herausstellt, könnte diese Spaltung (teilweise) überwunden werden. Es ist kein Zufall, dass die Haltung der Kirchen in Europa – und auf anderen christlichen Kontinenten – emblematisch war: Die Kirche hat sich über konfessionelle Unterschiede hinweg Gott zugewandt, obwohl sie sich streng an die von den verschiedenen Gesundheitsministerien ausgearbeiteten Gesundheitsprotokolle gehalten hat. Ausnahmsweise gehorchte die Kirche einmal den „civis“, als ob sie eine einzige „civitas“ wäre, und überwand damit auch ihrerseits die Spaltung. Über diese Gleichung und über die Aussichten für neue Synthesen und Dialoge wird es notwendig sein, in naher Zukunft weiter und vertieft nachzudenken, gerade wegen dem, was der „Vater“ der universellen Geschichtsschreibung, der deutsche Leopold von Ranke,meinte, wenn err sagte, dass „jede Epoche unmittelbar zu Gott“ sei. Tatsächlich ist ein neues Europa der Next Generation EU – nach der Ablehnung eines Gottesbezugs im Vorschlag für eine europäische Verfassung, der 2005 von Frankreich und den Niederlanden abgelehnt wurde – aufgerufen, das Verhältnis zwischen Politik und Zivilgesellschaft einerseits und der religiösen Dimension und der christlichen kulturellen Tradition andererseits neu zu überdenken, auch in Bezug auf den neuen religiösen Pluralismus, der unseren Kontinent heute prägt.

Schließlich sehen wir am Horizont eine wichtiges drittes layout: die diversifizierte Wahrnehmung Gottes und der Kirchen, die sich zu ihm bekennen, während der Covid-19-Krise. Sie ist keineswegs allogen, weder in der politischen noch in der wirtschaftlichen Frage. Es soll hier weder auf die Möglichkeit Bezug genommen werden, dass viele Menschen am gesellschaftlichen und kirchlichen Leben per streaming– also „von fern“ – teilgenommen haben, noch auf die (vermutete) Zunahme der Religiosität während der Hochphase und im Abklingen der Pandemie, die in vielen demoskopischen Analysen festgestellt wird. Dieses dritte layout würde eher diese andere Frage beantworten: von wem erwartet der Mensch heute das Heil, die Rettung, „salus, salvezza, health“? Von der medizinischen Wissenschaft, die einen Impfstoff entwickeln kann, oder von Gott, wie es früher der Fall war? Wie zu sehen ist, handelt es sich wieder einmal um eine Frage politischer und wirtschaftlicher Natur, denn in den beiden letztgenannten Fällen ist ein Rückfall zu verzeichnen. Selbst wenn die Europäische Union jetzt den Plan Next Generation EU umsetzen würde, bliebe immer noch zu prüfen, ob das „Heilspatent“ auch als solches wahrgenommen wird oder mit der Kontrolle der Einhaltung der „Regeln“ verbunden ist, denn im letzteren Fall würde die “Behandlung” der Auswirkungen der Pandemie als eine Falle erscheinen, die die Kluft zwischen Nord- und Südeuropa weiter vertieft. Bis zum Beweis des Gegenteils hat sich kein Staat der Union dafür entschieden, den tragischen Auswirkungen in einigen Gebieten des alten Kontinentes zu erliegen. Es muss wieder aufgestanden werden. Auch wenn es mit großen Schwierigkeiten verbunden ist, so muss es doch eine neue Art und Weise geben, die Zugehörigkeit zu leben – die in ihrer europäischen Dimension erst noch etabliert werden muss -, und die verschiedenen Dimensionen des Lebens umfasst. Darüber hinaus kann nur eine Integration von Wirtschaft und politischer Planung in einem Kontext universeller Solidarität, wie sie von den Religionen gepflegt wird, der Entwicklung unserer Wirtschaft hin zu mehr Solidarität mit anderen und mit der Umwelt einen neuen Impuls verleihen. In diesem Sinne muss Europa aus der Krise von 2007/08 gelernt haben, auf die es mit Sparsamkeit und mit Eile reagierte, um so schnell wie möglich mit großen Geldsummen zum „alten Stil“ des Lebens, der Wirtschaft und der Entwicklung zurückzukehren. Theologische Hoffnung kann uns hingegen zum jetzigen Zeitpunkt die Aussicht eröffnen, ein neues Zivilisationskonzept zu verwirklichen, das umfassender und nachhaltiger ist. In dieser Perspektive offenbart sich die Enzyklika Laudato Sí des Jahres 2015 wahrhaft als prophetisches Dokument und zeigt ihre gegenwärtige Relevanz: Mit der Bestätigung des New Green Deal, den viele bereits für die wirtschaftliche Erholung opfern wollten, hat die Kommissionspräsidentin neue Horizonte eines positiven Dialogs zwischen Wirtschaft, Gesellschaft und Kirche eröffnet.

Abschließend müssen wir folgende Frage offen stehenlassen: Ist die ungleiche Verbreitung der Säkularisierung zwischen dem Süden und Norden des christlichen Europas vielleicht umgekehrt proportional zu der Wahrnehmung, die europäische Männer und Frauen vom Thema des Heilspatents haben? Das heißt: entweder Technik (und damit auch Wirtschaft) – oder Gott? Hatte der Deutsche Novalis also vielleicht Recht, sich die unzusammenhängende Frage zu stellen: Christentum oder Europa, wobei er im 18. Jahrhundert sicherlich nicht die „christlichen Wurzeln“ Europas im Sinn hatte? Angesichts dieser Provokation sind wir jedoch aufgerufen, eine neue Synthese der Hoffnung zu finden: ein Europa, das in der Welt wettbewerbsfähig ist, aber gleichzeitig fest an seinen Werten und Wurzeln festhält.

 

Übersetzung Albert Drews mit Hilfe von www.DeepL.com/Translator

Europe and the Coronavirus – some theological reflections of hope for the EU

Markus Krienke is Full Professor of Modern Philosophy and Social Ethics at the Faculty of Theology in Lugano and Director of the Rosmini Chair; he is Professor for Philosophical Anthropology at the Pontifical Lateran University and teaches Social Doctrine of the Church at the Theological Faculty of Northern Italy in Milan.

Gianluigi Pasquale is Professor of Fundamental Theology at the Pontifical Lateran University, Vatican City State, and at the affiliated Theological Studio „Laurentianum“ in Venice, at the Campus of Milan (Italy). In 2018 he obtained the National Scientific Habilitation as Associate Professor for Moral Philosophy.

The impact of Covid-19 on the current context deserves to be assessed with great caution, through some interpretative layouts of the whole phenomenon. For at least two reasons. First, because such an impact is changeable, as we observe from the same various „phases“ that follow one another. Secondly, we know that this is a pandemic that has affected the entire planet. So we are not dealing with a „Euro-virus“, although the European continent feels called upon to give a common response on a par with the American and Asian continents.

There is almost no theological reading of the situation: while we have focused only on the question „yes or no masses“, we have completely forgotten to develop categories of theological interpretation, and this is another sign of how much we have reduced our category of Europe to a political-economic one, forgetting the cultural and Christian dimension. From the perspective of „salvation history“, we seem to be able to identify „hope“ precisely in this second phase of the crisis (from April-May). Every theological category of „history of salvation“ refers to concrete history: here we can initially observe, how in a first phase (March-April), Covid-19 seems to have widened the (existing) gap between a northern European habitus of „Germanic“ cultural matrix and the Mediterranean one of „Latin“ cultural matrix, regardless of the political and economic solutions that are being taken. In fact, with the Recovery fund proposal launched by Merkel and Macron on 19 May, the European Union not only puts into concrete terms what was said before by the President of the Commission von der Leyen and lately also by the President of the ECB Lagarde, but suddenly goes beyond the endless and confused debates around the Eurobonds or Coronabonds, which were still based on the idea of „loans“ on „conditions“ (which, however, in the course of the debate were increasingly reduced). And just as in the Schuman Plan of 9 May 1950 Europe managed to move beyond the old „Treaty“ policy towards a common and „community“ level between the Member States. Thus, the programme presented by von der Leyen under the name “Next Generation Eu“ on the basis of the Franco-German proposal now contains a similar qualitative leap towards the joint management of a „non-repayable“ resource fund, at least for the vast majority (the 500 billion of the Merkel-Macron proposal, now supplemented by another 250 billion of low-interest loans). So the method of the three politicians of deep Christian faith Schuman, De Gasperi and Adenauer for whom „Europe cannot be made at once“ (Schuman Declaration) seems to be proving true. If Merkel, Macron and von der Leyen propose a new Schuman Plan, then the principles that animated the three „Founding Fathers“ of Europe and which are in correspondence with the Social Doctrine of the Church, demonstrate their historical strength for the benefit of all the member countries. Italy would even be the main beneficiary with a slice of 172,7 billion Euros (of which 81 billion in aid and 90 billion in loans). Certainly, “Next Generation Eu” has yet to pass the scrutiny of the Heads of State between 17 and 18 June, where a heated debate is expected with the main opposition countries such as Austria or the Netherlands. But with all due respect, the President of Parliament in Strasbourg, Sassoli, spoke about the „European D-Day of the 21st century“, and the much-proclaimed Marshall Plan at the end of March, considered distant and impossible, can truly become reality. The increased importance and strength of the EU can also be seen by the fact that with this plan – together with another 1,100 billion already decided for a multiannual financial framework, and the other figures of the European programmes to react to the crisis already underway – its budget doubles from 1 to 2% of European GDP. Such an historic moment, where Europe shows its unity and strength, can only provoke a theological reflection of hope: that at the same time it also gives a cultural and motivational foundation to those who fight for Europe usually „only“ with numbers.

This concrete basis for hope is then translated into a second impression, which is less immediate but more profound. It results from the following question: how had man behaved in the face of previous epidemics and pandemics? Undoubtedly, turning publicly and religiously to God, not only to the God of Jesus Christ, as we have seen, for example, in the situation in the Republic of China. With the Covid-19, instead, the „spread“ and its influence on the „GDP“ was invoked: this seems to have been the unprecedented situation, as they say today. Now, having placed the burden of the solution only on an economic device can be just as fideistic as (not) having placed it on God, because the economy is not more ascertainable than religion, perhaps vice versa. This seems to be the true meaning of the exhortation „I exhort you to history“ that the young German philosopher Georg von Hardenberg wrote in his “Christianity or Europe” in 1799. In fact, the European GDP seems to divide what Christianity united: now with the new perspective that emerges as a hope, this division could be (partially) overcome. It is no coincidence that the attitude of the churches in Europe – and on other Christian continents – has been emblematic: the Church has turned to God, beyond confessional distinctions, even though it has strictly obeyed the health protocols drawn up by the various health ministries. For once the Church obeyed the „civis“, as if it were a single „civitas“, thus overcoming the division also on its part. On this equation and on the prospects for new syntheses and dialogues it will be necessary to reflect further and for a long time to come, in the near future, precisely because of what the „father“ of universal historiography, the German Leopoldus von Ranke, intended to say, according to whom „every epoch is equidistant before God“. A new Europe of the “Next Generation Eu”, in fact, is called – after the nomination of God in the proposal for a European constitution rejected in 2005 by France and the Netherlands – to rethink the relationship between politics and civil society, on the one hand, and the religious dimension and Christian cultural tradition, on the other, also in relation to the new religious pluralism that now characterizes our continent.

Finally, on the horizon we see an important third layout: the diversified perception acquired of God and the churches that confess Him during Covid-19. It is not at all allogeneic to either the political or the economic question. It is not intended here to refer either to the eventuality whereby many people participated in social and ecclesial life in streaming – i.e. „remotely“ – or to the (presumed) increase in religiosity that in men and women anyone would have experienced during and in the disappearance of the pandemic, as stated by many demoscopic analyses. This third layout would rather answer this other question: from whom does man today expect salvation, the „salus, heil, health“? From medical science that can devise a vaccine, or from God, as it was before? As you can see, the question is, once again, of political and economic nature, having a relapse in both these last two. Even if the European Union now implemented the “Next Generation Eu” plan, it would still be left to verify whether the „patent of salvation“ is perceived as such, or is linked to the control of compliance with „rules“ because, in the latter case, the „hospitalization“ from the effects of the pandemic would appear a trap that further furrows the gap between North and South Europe. Until proven otherwise, no State of the Union has chosen to succumb to the tragic effects of the contagion, as happened in some areas of the old continent. It has to get back up again. Although with great effort, it must therefore correspond to a new way of living citizenship – which in its European dimension has yet to be established – which embraces the various dimensions of life. Moreover, only such integration of the economy and political planning in a context of universal solidarity, as religions cultivate it, can give a new impetus to the development of our economy towards more solidarity with others and with the environment. Europe, in this sense, must have learned from the crisis of 2007/08, to which it responded with austerity and with the haste to return with large sums of money as soon as possible to the „old style“ of life, economy and development. At this time, theological hope can open us the prospect of realizing a new concept of civilization, more inclusive and sustainable. In this perspective, the Encyclical Laudato Sí of 2015 truly reveals itself as a prophetic document and realizes its relevance today: in confirming the New Green Deal that many already wanted to sacrifice to the recovery of the economy, the President of the Commission has opened new glimmers of positive dialogue between the economy, society and the Church.

Finally, we would like to leave the following question open: is the diversified distribution between secularisation and the South and North of Christian Europe inversely proportional to the perception that European men and women have of the subject giving them the patent of salvation? That is to say: either technology (also economic) or God? Wasn’t the German Novalis right, then, to ask himself the disjunctive question: Christianity or Europe, since in the 18th century he did not intend at all to speak of Europe’s „Christian roots“? In the face of this provocation, however, we are called upon to find new syntheses of hope: a Europe that is competitive in the world but at the same time firm on its values and roots

 

Übersetzung Clara Dehlinger mit Hilfe von www.DeepL.com/Translator

 

Dies ist ein Beitrag im Rahmen des Blog-Projekts „Gemeinsam oder Einsam aus der Krise? Die Europäische Union am Scheideweg angesichts der Herausforderungen durch den Corona-Virus“. Erfahren Sie hier mehr über das Projekt!

 

Italia e UE – Italien und die EU

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Marco Brunazzo è Professore associato di Scienza politica presso l’Università di Trento – Italia. Tra i suoi ultimi libri “La politica dell’Unione europea” (con Vincent della Sala, 2019) e “Italy and the European Union: A Rollercoaster Journey” (con Bruno Mascitelli, 2020)

Il rapporto tra italiani e Unione europea è diventato sempre più critico. Tutti i sondaggi mostrano come nell’arco di poco più di un ventennio gli italiani siano passati da convinti sostenitori dell’integrazione comunitaria a euroscettici (Brunazzo e Della Sala 2011). Secondo i dati dell’inchiesta Parlameter 2018, in caso di referendum sull’appartenenza dell’Italia all’UE, solamente il 44% degli elettori esprimerebbe un sicuro voto a favore della permanenza, il peggiore dato tra tutti i paesi membri (Parlameter 2018, 28). Il fatto che il 32% dei rispondenti (anche in questo caso la percentuale maggiore di tutti gli stati membri) esprima un orientamento incerto o preferisca non rispondere indica ancora più chiaramente il senso di smarrimento degli italiani.

Anche tra i partiti politici il sostegno all’Unione europea ha cessato di essere un tema condiviso tra tutte le principali forze politiche. Non è un caso che alle elezioni politiche del 2018 il partito populista Movimento 5 Stelle (che tra il 2014 e il 2019 aderiva al gruppo politico del Parlamento europeo Europe of Freedom and Direct Democracy di Nigel Farage) abbia ottenuto il 33% dei voti. Nelle elezioni europee del 2019, inoltre, la Lega di Matteo Salvini (dichiaratamente favorevole a una uscita dell’Italia dall’Unione economica e monetaria, se non dall’UE tout court) ha ottenuto il 34% dei consensi, raggiungendo un successo di portata storica per questo partito.

La crisi del coronavirus non ha cambiato questo trend. Anzi, per certi aspetti, l’ha accelerato. Una ricerca realizzata dall’Istituto Affari Internazionali, dalla Fondazione Compagnia di San Paolo e dal Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) dell’Università di Siena pubblicata nel maggio 2020 lo mostra chiaramente (Istituto affari Internazionali 2020). E’ da notare che la raccolta dei dati è stata fatta dopo l’importante Consiglio europeo del 23 aprile, e quindi dopo l’approvazione dell’accordo sul Meccanismo europeo di stabilità che potrebbe portare all’Italia 35 o 36 miliardi di euro per misure relative al settore sanitario.

Per quanto riguarda l’Unione europea, ben il 79% degli intervistati ritiene che gli sforzi dell’UE a sostegno dell’Italia per fronteggiare la crisi siano stati poco o per nulla adeguati, e il 73% ritiene che la pandemia abbia dimostrato il completo fallimento dell’UE. Dato ancora più interessante, le critiche all’UE accomunano gli elettori di tutti i partiti (figg. 1 e 2).

In effetti, stupisce che l’euroscetticismo abbia finito per dilagare anche tra gli elettori del Partito democratico, tradizionalmente il partito più europeista della cosiddetta Seconda Repubblica. D’altro canto, il 71% dell’opinione pubblica ritiene che l’Italia sia stata lasciata da sola di fronte all’emergenza sanitaria. Tuttavia, in questo caso, il 47% degli elettori di centrosinistra ritiene che l’Italia sia stata trattata ingiustamente contro l’87% degli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia.

Da segnalare, infine, che, rispetto a un anno fa, la percentuale di coloro che ritiene che vada mantenuta la libera circolazione delle persone nell’UE sia diminuita di ben 10 punti percentuali (61% nel 2020).

Ciò detto, non c’è grande voglia di sovranismo in Italia. Anzi, gli italiani sono convinti che una crisi di portata globale come quella del coronavirus possa essere superata solamente con una maggiore cooperazione internazionale, come ritiene il 68% degli intervistati. Solamente il 32% di loro ritiene che una così importante crisi abbia dimostrato la necessità di una maggiore indipendenza dagli altri stati.

Da questa consapevolezza della necessità di collaborazione occorre ripartire se si vuole che gli italiani si riconciliano con l’UE. Proposte come quella formulata il 18 maggio 2020 dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel e del Presidente francese Emmanuel Macron di creare un fondo per facilitare la ripresa europea vanno nella giusta direzione, perché mostrano che un’Europa solidale esiste. Aiutano a rovesciare una narrazione che ha trovato ampia eco nei media italiani secondo cui gli aiuti per contrastare la diffusione del virus sono venuti più dalla Cina e dagli Stati Uniti che dai paesi dell’UE. Si tratta di una narrazione evidentemente falsa, ma che ha trovato sponde anche all’interno del Governo italiano di Giuseppe Conte.

Se L’UE vuole riconquistare il cuore e le menti dei cittadini deve dimostrare di essere in grado di rispondere alle loro necessità più pressanti. Ma questo non deve esimere i paesi economicamente in difficoltà, come l’Italia, ad affrontare i nodi che minano la sua capacità di crescita. L’assunzione di responsabilità verso l’UE dimostrata da Merkel e Macron non può non essere accompagnata da un supplemento di responsabilità del governo italiano a utilizzare i fondi europei per iniziative che permettano al Paese di affrontare i suoi problemi strutturali. Solo adottando decisioni ambiziose sia a livello nazionale che europeo si può sconfiggere il populismo che ha avuto grande fortuna in Italia, un paese definito, non senza ragione, “il paradiso populista” (Hermet 2001). Un populismo che si è nutrito da una parte della narrazione che l’Europa sia largamente incerta di fronte alle sfide più importanti e, dall’altra, della frustrazione prodotta da un’Italia che fatica a ritrovare una sua posizione in uno scacchiere internazionale assai più complesso di un tempo.

Riferimenti bibliografici

Brunazzo, M. e V. Della Sala, From Salvation to Pragmatic Indifference? Europe in Italian Political Discourse, in R. Harmsen, J. Schild (a cura di), Debating Europe: The 2009 European Parliament Elections and Beyond, Baden-Baden: Nomos, p. 69-84.

Hermet, G. (2001), Les populismes dans le monde. Une historie sociologique, XIX-XX siècle, Fayard, Parigi, 2001.

Istituto Affari Internazionali (2020), Emergenza coronavirus e politica estera. L’opinione degli italiani sul governo, l’Europa e la cooperazione internazionale. Rapporto di ricerca a cura di DISPOC/LAPS (Università di Siena) e IAI, disponibile all’URL https://www.affarinternazionali.it/wp-content/uploads/2020/05/LAPS-IAI_2020_covid.pdf (ultimo accesso 20 maggio 2020).

Parlamento europeo (2018), Parlameter 2018. Taking up the challenge: From (silent) support to actual vote, disponibile all’URL https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2018/parlemeter-2018/report/en-parlemeter-2018.pdf (ultimo accesso 20 maggio 2020).

Questo è un contributo al blog „Insieme o da soli fuori dalla crisi? L’Unione Europea ad un bivio di fronte alle sfide poste dal virus corona“. Per saperne di più sul progetto, clicca qui!

 

Marco Brunazzo ist außerordentlicher Professor für Politikwissenschaft an der Universität Trient – Italien. Zu seinen jüngsten Büchern gehören „La politica dell’Unione europea“ (mit Vincent della Sala, 2019) und „Italy and the European Union: A Rollercoaster Journey “ (mit Bruno Mascitelli, 2020).

Die Beziehung zwischen den Italienern und der Europäischen Union ist in letzter Zeit immer schwieriger geworden. Alle Umfragen zeigen, dass die Italiener innerhalb von etwas mehr als zwanzig Jahren von überzeugten Befürwortern der EU-Integration zu Euroskeptikern geworden sind (Brunazzo und Della Sala, 2011). Nach den Umfragedaten von Parlameter 2018 würden im Falle eines Referendums über die EU-Mitgliedschaft Italiens nur 44% der Wähler ein sicheres Votum für einen Verbleib abgeben, der schlechteste Wert unter allen Mitgliedsländern (Parlameter 2018, 28). Die Tatsache, dass 32% der Befragten (wiederum der höchste Prozentsatz aller Mitgliedsstaaten) Unentschlossenheit zum Ausdruck bringen oder es vorziehen, nicht zu antworten, zeigt noch deutlicher, wie verunsichert die Italiener sind.

Selbst unter den politischen Parteien ist die Unterstützung für die Europäische Union kein einendes Thema mehr für alle wichtigen politischen Kräfte. Es ist kein Zufall, dass bei den Parlamentswahlen 2018 die populistische Partei Movimento 5 Stelle (die sich zwischen 2014 und 2019 der Fraktion Europe of Freedom and Direct Democarcy von Nigel Farage im Europäischen Parlament anschloss) 33% der Stimmen erhielt. Bei den Europawahlen 2019 erhielt die Lega von Matteo Salvini (die sich offen für einen Austritt Italiens aus der Wirtschafts- und Währungsunion, wenn nicht gar für einen Austritt aus der EU aussprach) 34% der Stimmen und erzielte damit einen historischen Erfolg.

Die Coronavirus-Krise hat an diesem Trend nichts geändert. Im Gegenteil, in gewisser Hinsicht hat sie ihn beschleunigt. Dies zeigen Untersuchungen des Istituto Affari Internazionali, der Stiftung Compagnia di San Paolo und des Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) der Universität Siena, die im Mai 2020 veröffentlicht wurden (Istituto Affari Internazionali 2020). Es sei darauf hingewiesen, dass die Datenerhebung nach der wichtigen Tagung des Europäischen Rates vom 23. April und somit nach der Einigung über den Europäischen Stabilitätsmechanismus erfolgte, die Italien 35 oder 36 Milliarden Euro für Maßnahmen im Gesundheitssektor einbringen könnte.

Was die Europäische Union betrifft, so glauben 79% der Befragten, dass die Bemühungen der EU zur Unterstützung Italiens bei der Bewältigung der Krise wenig oder nicht mehr ausreichend waren, und 73% glauben, dass die Pandemie das völlige Versagen der EU gezeigt hat. Interessanter ist, dass die Kritik an der EU von Wählern aller Parteien geteilt wird (Abb. 1 und 2).

Es ist in der Tat erstaunlich, dass sich der Euroskeptizismus schließlich sogar unter den Wählern des Partito Democratico, der traditionell pro-europäischsten Partei in der so genannten Zweiten Republik, verbreitet hat. Andererseits sind zwar 71% der Italiener der Meinung, das Italien während des Corona-Notstandes alleine gelassen wurde. Allerdings sind dabei nur 47% der Mitte-Links-Wähler der Meinung, dass Italien ungerecht behandelt wurde. Unter den Wählern der Lega und der Fratelli d’Italia sind das 87%.

Schließlich ist anzumerken, dass im Vergleich zu vor einem Jahr der Prozentsatz derjenigen, die glauben, dass die Freizügigkeit in der EU beibehalten werden sollte, um bis zu 10 Prozentpunkte zurückgegangen ist (61% im Jahr 2020).

Dennoch gibt es in Italien keinen großen Wunsch nach Souveränismus. Im Gegenteil, die Italiener sind überzeugt, dass eine globale Krise wie die Coronavirus-Krise nur durch eine stärkere internationale Zusammenarbeit überwunden werden kann, wie 68% der Befragten glauben. Nur 32% von ihnen meinen, dass eine so einschneidende Krise die Notwendigkeit einer größeren Unabhängigkeit von anderen Staaten gezeigt hat.

Aus diesem Bewusstsein für die Notwendigkeit der Zusammenarbeit heraus ist es notwendig, neu anzufangen, wenn sich die Italiener mit der EU versöhnen wollen. Vorschläge wie der, den am 18. Mai 2020 Bundeskanzlerin Angela Merkel und der französische Staatspräsident Emmanuel Macron unterbreitet haben und der auf die Schaffung eines Fonds zur Erleichterung des europäischen Aufschwungs abzielt, gehen in die richtige Richtung, denn sie zeigen, dass ein solidarisches Europa existiert. Sie tragen dazu bei, ein Narrativ zu entkräften, das in den italienischen Medien einen breiten Niederschlag gefunden hatte das besagte, dass aus China und den Vereinigten Staaten zur Bekämpfung der Ausbreitung des Virus mehr Hilfe gekommen wäre als aus den EU-Ländern. Dieses Narrativ ist offensichtlich falsch, aber es hat bis in die italienische Regierung von Giuseppe Conte Resonanz gefunden.

Wenn die EU die Herzen und Köpfe ihrer Bürger zurückgewinnen will, muss sie zeigen, dass sie in der Lage ist, auf ihre dringendsten Bedürfnisse einzugehen. Aber dies darf wirtschaftlich angeschlagene Länder wie Italien nicht davon befreien, sich den Problemen zu stellen, die ihre Wachstumsfähigkeit untergraben. Die von Merkel und Macron demonstrierte Bereitschaft gegenüber der EU Verantwortung zu übernehmen, kann nur mit einer zusätzlichen Verantwortung der italienischen Regierung einhergehen, europäische Mittel für Initiativen zu verwenden, die es dem Land ermöglichen, seine strukturellen Probleme anzugehen. Nur wenn wir sowohl auf nationaler als auch auf europäischer Ebene ehrgeizige Entscheidungen treffen, können wir den Populismus besiegen, der in Italien großen Erfolg hatte, einem Land, das nicht ohne Grund als „das Paradies des Populismus“ bezeichnet wird (Hermet 2001). Ein Populismus, der sich einerseits von dem Bild genährt hat, Europa sei angesichts der wichtigsten Herausforderungen weitgehend unentschlossen, und andererseits von der Frustration eines Italiens, das darum kämpft, seine Position auf internationalem Parkett wiederzuerlangen, das viel komplexer geworden ist, als es einst war.

Bibliografie

Brunazzo, M. e V. Della Sala, From Salvation to Pragmatic Indifference? Europe in Italian Political Discourse, in R. Harmsen, J. Schild (a cura di), Debating Europe: The 2009 European Parliament Elections and Beyond, Baden-Baden: Nomos, p. 69-84.

Hermet, G. (2001), Les populismes dans le monde. Une historie sociologique, XIX-XX siècle, Fayard, Parigi, 2001.

Istituto Affari Internazionali (2020), Emergenza coronavirus e politica estera. L’opinione degli italiani sul governo, l’Europa e la cooperazione internazionale. Rapporto di ricerca a cura di DISPOC/LAPS (Università di Siena) e IAI, disponibile all’URL https://www.affarinternazionali.it/wp-content/uploads/2020/05/LAPS-IAI_2020_covid.pdf (letzter Aufruf 20. Mai 2020).

Parlamento europeo (2018), Parlameter 2018. Taking up the challenge: From (silent) support to actual vote, disponibile all’URL https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2018/parlemeter-2018/report/en-parlemeter-2018.pdf (letzter Aufruf 20. Mai 2020).

Übersetzung Albert Drews unter Verwendung von www.DeepL.com/Translator

Dies ist ein Beitrag im Rahmen des Blog-Projekts „Gemeinsam oder Einsam aus der Krise? Die Europäische Union am Scheideweg angesichts der Herausforderungen durch den Corona-Virus“. Erfahren Sie hier mehr über das Projekt!

Italy and the EU: a relationship that the coronavirus has made even more difficult

Marco Brunazzo is Associate Professor of Political Science at the University of Trento – Italy. His latest books include „La politica dell’Unione europea“ (with Vincent della Sala, 2019) and „Italy and the European Union: A Rollercoaster Journey“ (with Bruno Mascitelli, 2020).

The relationship between Italians and the European Union has become increasingly critical. All the surveys show that in the space of just over twenty years Italians have gone from being convinced supporters of EU integration to Eurosceptics (Brunazzo and Della Sala, 2011). According to the data from the Parlameter 2018 survey, in the event of a referendum on Italy’s membership of the EU, only 44% of voters would vote for permanence, the worst figure among all member states (Parlameter 2018, 28). The fact that 32% of respondents (again the highest percentage of all member states) express an uncertain orientation or prefer not to respond indicates even more clearly the sense of bewilderment of Italians.

Even among political parties, support for the European Union has ceased to be a shared theme among all the main political forces. It is no coincidence that in the 2018 parliamentary elections the populist party Movimento 5 Stelle (which joined Nigel Farage’s Europe of Freedom and Direct Democracy political group in the European Parliament between 2014 and 2019) won 33% of the vote. In the 2019 European elections, moreover, Matteo Salvini’s League (which was openly in favour of Italy leaving the Economic and Monetary Union, if not the EU tout court) obtained 34% of the votes, achieving a historic success for this party.

The coronavirus crisis hasn’t changed that trend. In fact, in some ways, it has accelerated it. Research carried out by the Istituto Affari Internazionali, the Compagnia di San Paolo Foundation and the Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) of the University of Siena published in May 2020 clearly shows this (Istituto Affari Internazionali 2020). It should be noted that the data collection was made after the important European Council of 23 April, and therefore after the approval of the agreement on the European Stability Mechanism which could bring Italy 35 or 36 billion euros for measures related to the health sector.

Concerning the European Union, as many as 79% of respondents believe that the EU’s efforts in support of Italy to tackle the crisis have been little or no longer adequate, and 73% believe that the pandemic has demonstrated the EU’s complete failure. More interestingly, the criticism of the EU is shared by voters from all parties (Figs. 1 and 2).

Indeed, it is astonishing that Euroscepticism has ended up spreading even among the voters of the Democratic Party, traditionally the most pro-European party in the so-called Second Republic. On the other hand, 71% of public opinion believes that Italy has been left alone in the face of the health emergency. However, in this case, 47% of centre-left voters believe that Italy has been treated unfairly, compared with 87% of the the Lega and Fratelli d’Italia voters.

Finally, it should be noted that, compared to a year ago, the percentage of those who believe that the free movement of people in the EU should be maintained has decreased by as much as 10 percentage points (61% in 2020).

That said, there is no great desire for sovereignty in Italy. On the contrary, Italians are convinced that a global crisis such as the coronavirus crisis can only be overcome with greater international cooperation, as 68% of respondents believe. Only 32% of them believe that such an important crisis has demonstrated the need for greater independence from other states.

From this awareness of the need for cooperation it is necessary to start again if Italians are to reconcile with the EU. Proposals like the one made on 18 May 2020 by German Chancellor Angela Merkel and French President Emmanuel Macron to create a fund to facilitate European recovery head in the right direction, because they show that a Europe of solidarity exists. They help to overturn a narrative that has found wide coverage in the Italian media that aid to combat the spread of the virus has come more from China and the United States than from EU countries. This narration is obviously false, but it has also found its way into the Italian government of Giuseppe Conte.

If the EU wants to regain the hearts and minds of its citizens, it must show that it is able to respond to their most pressing needs. But this must not exempt economically struggling countries, such as Italy, from facing the knots that undermine its capacity for growth. The assumption of responsibility towards the EU demonstrated by Merkel and Macron cannot but be accompanied by an additional responsibility of the Italian government to use European funds for initiatives that allow the country to address its structural problems. Only by taking ambitious decisions at both national and European level, we can defeat the populism that has had great success in Italy, a country defined, not without reason, „the populist paradise“ (Hermet 2001). A populism that has nourished on the one hand the narration that Europe is largely uncertain in the face of the most important challenges and, on the other, the frustration produced by an Italy that is struggling to regain its position in an international chessboard much more complex than it once was.

Bibliographic information

Brunazzo, M. e V. Della Sala, From Salvation to Pragmatic Indifference? Europe in Italian Political Discourse, in R. Harmsen, J. Schild (a cura di), Debating Europe: The 2009 European Parliament Elections and Beyond, Baden-Baden: Nomos, p. 69-84.

Hermet, G. (2001), Les populismes dans le monde. Une historie sociologique, XIX-XX siècle, Fayard, Parigi, 2001.

Istituto Affari Internazionali (2020), Emergenza coronavirus e politica estera. L’opinione degli italiani sul governo, l’Europa e la cooperazione internazionale. Rapporto di ricerca a cura di DISPOC/LAPS (Università di Siena) e IAI, disponibile all’URL https://www.affarinternazionali.it/wp-content/uploads/2020/05/LAPS-IAI_2020_covid.pdf (letzter Aufruf 20. Mai 2020).

Parlamento europeo (2018), Parlameter 2018. Taking up the challenge: From (silent) support to actual vote, disponibile all’URL https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2018/parlemeter-2018/report/en-parlemeter-2018.pdf (letzter Aufruf 20. Mai 2020).

Übersetzung Clara Dehlinger unter Verwendung von www.DeepL.com/Translato

This is a contribution to the blog project „Together or alone out of the crisis? The European Union at a crossroads in the face of the challenges posed by the corona virus“. Learn more about the project here!

 

400 Jahre Dreißigjähriger Krieg

Der vorliegende Band der Loccumer Protokolle dokumentiert fast alle Beiträge einer Tagung, die im November 2018 unter dem Titel „Syrien liegt in Europa. Vor 400 Jahren begann der Dreißigjährige Krieg“ stattfand. Auf der Tagung ging es um einen „doppelten Erkundungsgang“, wie das Vorwort festhält. „Erkundet wurde erstens 400 Jahre nach Beginn und 430 Jahre nach Ende des Dreißigjährigen Krieges dessen politisch-historische Prägnanz. Erkundet wurde zweitens die analytische Relevanz dieser politisch-historischen Sichtungen für den im Jahr 2018 in sein siebtes Jahr gehenden Syrienkonflikt.“ Sie können den Tagungsband hier bestellen.

 

Syrien liegt in Europa

Inhalt

Karlies Abmeier und Stephan Schaede
Vorwort

Martin Tamcke
Konfessionelle und religiöse Kriege, Konflikte und Spannungen im syrischen Raum. Ein historisches Panorama

Dieter Breuer
Friedenskonzepte in literarischen Texten aus der Zeit des Dreißigjährigen Krieges

Harald Suermann
Religiöse Positionen der Christen im Kontext der religiösen Propaganda in Syrien und im Irak

Christian Mühling
Wie der Dreißigjährige Krieg zum Religionskrieg wurde

Ashti Amir
Religiöse Aufladungen und Entladungen in den Konfliktregionen des Nahen und Mittleren Ostens

Holger Böning
Vom Krieg erzählen. Das neue Medium Zeitung und die Publizistik während des Dreißigjährigen Krieges

Larissa Bender
Mediale Äußerungen als Politikum im Syrienkonflikt

Hendrik Munsonius
Vom Religionskonflikt zur Friedensordnung: Der Westfälische Frieden von 1648

Markus Böckenförde
Welche rechtspolitischen Interventionen könnten im Syrienkonflikt hilfreich sein?

Christopher Voigt-Goy
Die Herausbildung neuer staatlicher Formationen im Zuge des Dreißigjährigen Krieges und ihre religionspolitischen Implikationen

Michael Rohrschneider
Kriegsverdichtung und Friedensfähigkeit. Verhandlungstechniken auf dem Weg zum Frieden am Beispiel des Kongresses von Münster und Osnabrück (1643–1649)

Maria-Elisabeth Brunert
Erfolgreiche Friedenspolitik im Zeitalter des Dreißigjährigen Krieges. Der Jülicher Erbfolgestreit (1609–1678) und seine friedliche Beilegung

Patrick Milton
Lektionen und Analogien: Lehren für Nahost aus dem Dreißigjährigen Krieg und dem Westfälischen Frieden

Vorwort
Syrien liegt in Europa – dieser Titel markiert bündig den doppelten Erkundungsgang der Tagung. Erkundet wurde erstens 400 Jahre nach Beginn und 430 Jahre nach Ende des Dreißigjährigen Krieges dessen politisch-historische Prägnanz. Erkundet wurde zweitens die analytische Relevanz dieser politisch-historischen Sichtungen für den im Jahr 2018 in sein siebtes Jahr gehenden Syrienkonflikt. Im Fokus der Tagung standen also ein historischer und ein aktueller Kriegsschauplatz mit ihren politisch religiös aufgeladenen Konfliktkonstellationen.
So machten sich mit historischer, politologischer, religionshistorischer und literaturwissenschaftlicher Expertise Forschende an die Arbeit, um die neben unter anderen von Herfried Münkler vorgetragene These zu prüfen, dass der Dreißigjährige Krieg als Analysefolie für den Syrienkonflikt dienen könne. Die Frage lautete: Wirft die Analyse eines unter völlig anderen geschichtlichen Bedingungen verlaufenden langjährigen Konfliktes wie des Dreißigjährigen Krieges Ideen für die Beilegung einer aktuellen Auseinandersetzung im Nahen Osten ab? Hilft eine solche Prüfung, den Syrienkonflikt und seine Mechanismen besser zu verstehen? Kann sie vor bestimmten Konfliktlösungsstrategien oder -fantasien warnen? Oder ist ein solcher Vergleich naiv, kurzschlüssig, ja irreführend und nur scheinbar produktiv?
In Beitragspaaren, die jeweils die Konstellation des Dreißigjährigen Krieges und des Syrienkonfliktes beleuchteten, wurde diesen zentralen Fragen nachgegangen. Nach einer umfassenden Einführung in das Panorama historisch bedingter und bis heute erkennbarer Linien konfessioneller und religiöser Kriege, Konflikte und Spannungen im syrischen Raum skizzierte ein erstes Panel die friedensstiftende und konflikteskalierende Wirkung von Sprache und Kommunikation in Syrien sowie während des Dreißigjährigen Krieges. Ein zweites Panel exponierte die jeweiligen religionspolitischen Konturen. Mit welchen Formen und Modellen argumentierten und argumentieren die Parteien vor allem religiös? Ein drittes Panel führte vor Augen, wie literarische Narrationen die Konflikte bearbeiteten und bewältigten. Sodann wurden in der Gegenüberstellung von Dreißigjährigem Krieg und Syrien die Leistung zweier Konfliktlöser aufgerufen, nämlich die des Konfliktlösers Recht und die des Konfliktlösers eines territorialen bzw. staatlichen (Neu)formierungsprozesses. Drei Beiträge boten eine Analyse der Konfliktlösungsstrategien und langwierigen Friedensschlussdynamiken während des Dreißigjährigen Krieges und schätzten – unterschiedlich kritisch – die Relevanz dieser Strategien und Dynamiken für den Syrienkonflikt ein.
Der vorliegende Band dokumentiert fast alle Beiträge der Tagung. Leider konnte ein Abendgespräch mit Jörg Armbruster zur Eigenart des Syrienkonfliktes nicht dokumentiert werden. Und Christian Mühling hat seinen Tagungsbeitrag für einen anderen Publikationsort zugesagt, dafür aber einen anderen für die Frage nicht weniger instruktiven Text für diese Dokumentation zur Verfügung gestellt. Die Texte sind dem Genre eines Loccumer Protokollbandes folgend als Vortrags- und Beitragstexte in einer durchaus hohen stilistischen Varianz abgedruckt. Gerade darin mag der besondere Reiz dieser Publikation liegen.
So wäre es auch vermessen, in wenigen Quintessenzen zusammenzufassen, was sich durch die Tagungsdiskussion ergab. Weniges sei hier notiert:
– Religion bildet immer einen Aspekt in den Kriegen und Spannungen Syriens. Selten aber waren Religionen die Quellen für Kriege und Spannungen: Landbesitzfragen, Desintegration/Integration ethnischer Minderheiten, Fragen nationaler Konnotation.
– Im Blick auf die literarische Verarbeitung des Dreißigjährigen Krieges und deren religionspolitischer Relevanz von Friedensverhandlungen lässt die Lektüre von Werken wie Grimmelshausens Simplicissimus-Roman (1668), der Flugschrift „Querela Pacis des Erasmus“ (1622) sowie die Friedensverhandlungen von Münster im Somnium des Pseudomoscherosch (1646) als eine Art anthropologisch-historische Grundkonstante literarisch meisterhaft exponiert erahnen: Ohne diverse Gesandtschaften – im Zuge der Westfälischen Friedensverhandlungen waren es nicht weniger als 109 Gesandtschaften – und langjährige Verhandlungen geht es nicht. Und: Es wäre naiv zu meinen, religiöse Akteure seien geborene Vermittler. Friedenspläne sind viel eher Produkte von Vernunft und einem im Verlauf von multilateralen Aushandlungsprozessen und elementarer militärischer und ziviler Ermüdung entstehenden guten Willens. Zugleich zeigt ein Blick in die Dokumentation religiöser Positionen der Christen im Kontext „religiöser Propaganda“ in Syrien: Eine durchaus auch religionsaffine, also etwa islamische Begründung eines gleichberechtigen Zusammenlebens der Anhänger verschiedener Religionen in einem säkular verfassten Staat dürfte auch auf der Mikroebene einer durch Flucht, Rückkehr und Raub hochgradig verunsicherten Nachbarschaft eine versöhnliche Fassung geben (Harald Suermann).
– Zur Frage der religiösen Aufladung: Der Dreißigjährige Krieg wurde bereits im 17. Jahrhundert in strategischer Absicht als Religionskrieg gedeutet, obgleich schon während dieses Krieges die Debatte geführt wurde, wie weit es sich um einen Regions- und nicht nur einen Religionskrieg handele. Mit verzwickt gegenläufigen Interessen wurde von Protestanten und Katholiken – mit wiederum kontroversen Interessen innerhalb katholischer Erinnerungspolitik – der Dreißigjährige Krieg als Religionskrieg stilisiert. Ergebnis dessen ist teilweise bis heute, dass der Charakter des Dreißigjährigen Krieg als eines Religionskrieges überkonfessionell negativ bestimmt ist und dass eine Neuauflage unbedingt zu verhindern sei. (Christian Mühling). Nicht weniger wurden die Religionen im Konflikt in Syrien instrumentalisiert und haben wiederum ihrerseits Konfliktszenarien ausgenutzt. Radikalisierenden Vorschub erhält diese Instrumentalisierung, solange sich für Menschen nur brutal soziale Ausweglosigkeiten abzeichnen (Ashti Amir).
– Inmitten von Tod und Zerstörung blühte während des Dreißigjährigen Krieges ein neues narratives Handwerk: die Zeitungsberichterstattung. Beeindruckend regelmäßig, verblüffend schonungslos und drastisch, aber im Blick auf die eigene Parteilichkeit reflektiert, war sie vor allem durch ihre Nähe zum erlebten Krieg gekennzeichnet. Sie lieferte Details, die der Historiographie bis in diese Tage hinein entgangen sind, und die es in den heutigen Medien nur noch selten gibt. Die grausame Verselbstständigung des Krieges, der längst nicht mehr Mittel der Politik war, sondern sich selbst ernährte, war Gegenstand. Als Mittel der öffentlichen Kommunikation zeigten sich die Berichte erstaunlich gut informiert über die Folgen von Versorgungsmangel, Hunger, Durst, Soldausfall und Plünderung, waren aber gleichzeitig im Blick auf die von Geistlichen aller Konfessionen vorgebrachten Deutungen der Kriegsgeschehen als göttlicher Geschichte nahezu vollständig resistent. Das Handeln der Mächtigen verlor vor allem in diesem Medium jede höhere divinatorische Dignität. Es sind Menschen, die für das Elend des Krieges Verantwortung getragen haben (Holger Böning).
– Den frühneuzeitlichen Zeitungsschreibern gleich haben junge syrische Aktivistinnen und Aktivisten unzählige neue Medien ins Leben gerufen: Zeitungen, Zeitschriften, Fernsehsender, soziale Mediennetzwerke, die trotz aller Widrigkeiten im syrischen Inland und im Ausland mit starken Expressionen arbeiten – surreal für eine real nicht mehr zu erfassende Allgegenwart von Tod, Krieg und Angst. Romane, Gedichte, Theaterstücke geben zudem die Möglichkeit, die eigene Sprache wieder zu finden (Larissa Bender).
– Das Recht hat sich im Dreißigjährigen Krieg nicht einfach nur als Konfliktlöser erwiesen. Vielmehr erfuhr es in den langwierigen Verhandlungen, die zum Westfälischen Frieden führten, selbst eine konfliktdeeskalierende Wendung: Es wurde säkularer, als zunehmend die Frage nach der religiösen Wahrheit der Frage nach der Überlebensfähigkeit und Ordnung des Gemeinwesens wich. Es wurde positivistischer, insofern Rechtsgeltung wesentlich von deren prozeduralen Zustandekommen abhängig wurde. Und es wurde religiös-weltanschaulich neutraler und konnte so zum mediatisierenden Konfliktlöser werden (Hendrik Munsonius). Rechtspolitische Interventionen haben im Syrienkonflikt durchaus eine Chance; in Gestalt einer völkerrechtlichen Auslotung eines militärischen Einschreitens, in Gestalt des völkerrechtlichen Rahmens, der sich durch die Umsetzung von UN-Sicherheitsratsbeschlüssen ergeben kann, und in den Grenzen und Möglichkeiten, eine Verfassung auszuarbeiten. Letzteres ist aber auf ein gewisses Verhandlungsgleichgewicht angewiesen, das aufgrund des Machtzuwachses des Assad-Regimes in Syrien immer stärker schwindet. Regionale Interessen von Nachbarstaaten könnten einen Verfassungsaushandlungsprozess zusätzlich belasten oder gar blockieren (Markus Böckenförde).
– Das Vertragswerk von Münster und Osnabrück, der Westfälische Frieden, mag als entscheidender Schritt der Entwicklung souveräner Einzelstaatlichkeit gewertet werden. Allerdings bestand souveräne Einzelstaatlichkeit im Blick auf die Religionsfrage gerade nicht. Man kann von einer religionsrechtlich gehemmten Einzelstaatlichkeit sprechen. Aus der entstehenden Staatlichkeit folgte also gerade nicht automatisch eine religionsbefriedende Wirkung. Das wäre im Blick auf die damit verbundenen Probleme für so manche territoriale Zuordnungsfantasie, die es für Syrien gibt, aufschlussreich. Kann eine nach religiösen Denominationen strukturierte territoriale Zuordnung mit komplexen Duldungs- oder Migrationsoptionen für Menschen anderen Glaubens je hilfreich sein? Es bleibt sehr fraglich , ob aus den im Westfälischen Frieden eingeführten Institutionen der rechtlich-politischen Moderation eines Konfessionskonflikts (z.B. itio in partes) ein Modell für den Syrienkonflikt folgen kann.
– Auf dem Weg zum Friedensschluss bietet eine historische Analyse der Aushandlungsprozesse im Verlauf des Dreißigjährigen Krieges für Klärungsprozesse in Syrien einiges Lernpotential: von den Folgen eines Wechsels bilateraler face-to-face-Kommunikation und multilateraler Beratungen für Verhandlungsergebnisse über den Einfluss von unkalkulierbaren Zwischenfällen bis zu den Logiken symbolischer Kommunikation und Fragen eines diplomatischen Protokolls. In jedem Fall zeigen die Verhandlungsprozesse, die zum Westfälischen Frieden führten, beeindruckend: Eine klug abgestimmte Kette von Teilverhandlungen, an denen jeweils nur zu lösende Konfliktsegmente mit nur einem Teil der Konfliktparteien bearbeitet werden, ist produktiv (Michael Rohrschneider).
Anregungen für Syrien mögen schließlich die Methoden des 17. Jahrhunderts bieten: fortdauernde Kommunikation, von allen Seiten anerkannte Mediatoren und Diplomaten, nicht jedoch die unmittelbare Verständigung zwischen den Spitzen der Konfliktparteien, das Vertagen der Beilegung eines Konflikts, die Unterstützung einer kriegskritischen Stimmung in der Öffentlichkeit, eine durch nichts zu beirrende Ausdauer in der Verhandlungswilligkeit und gegebenenfalls Einzelfalllösung für Regionen zählten zu den Erfolgsfaktoren der Konfliktbeilegung (Maria-Elisabeth Brunert).
– Ob gesellschaftspolitisch in europäischem Kontext ersonnene – durch die Analyse des Dreißigjährigen Krieges inspirierte – Lösungsmodelle wie konfessionelle Parität in Institutionen oder eine Art konditionaler Souveränität für gescheiterte Staaten, die eine nicht nur zwischenstaatliche, sondern auch internationale innerstaatliche Kontrolle ermöglichen würde, erfolgversprechend sind (Patrick Milton), blieb während der Tagung stark umstritten. Forschungsdesigns wie „Westphalia for the Middle East“ strapazieren nun eben nicht geringfügig die politische Aussagekraft und Belastbarkeit historischer Erkundungsgänge.

Wir danken allen Autorinnen und Autoren dafür, dass sie ihre überarbeiteten Vortragsmanuskripte für die Drucklegung zur Verfügung gestellt haben. Anne Sator sei für das Layout und die Unterstützung der Drucklegung gedankt. Peter Neu hat bei der Durchsicht der Manuskripte keine Mühen gescheut und sich um das zum Teil sehr anspruchsvolle Lektorat verdient gemacht. Zu danken ist schließlich der Konrad-Adenauer-Stiftung sowie der Bundeszentrale für politische Bildung für den namhaften finanziellen Beitrag zur Tagung.

Berlin/Loccum, im Februar 2020
Karlies Abmeier und Stephan Schaede